Sono un fantasma...

venerdì 3 settembre 2010 - Scritto da Stè alle 02:10

J. Sibelius, Valse Triste Op.44 - Berliner Philarmoniker, Herbert Von Karajan

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E' una giornata diversa dalle altre, me lo sento, si sente.  E' successo qualcosa, non si sentono più le voci delle farfalle, il tintinnio dei campanelli e il sibilare del vento attraverso foglie fili d'erba. Non c'è più nessun piccolo elfo sorridente: avevano smesso di sorridere quando tutto era finito, e così i loro lunghi nasi e i cappelli verdi se li è portati via il vento nuovo: il vento dell'autunno, che ha lasciato soltanto improvvise e fugaci foglie morte di rosso e di giallo.
Mi trovo in un posto che in cui non sono mai stato, un posto nuovo ma a me familiare nel quale mi muovo con naturalezza e disinvoltura. Sono fermo immobile, stupito e affascinato da quello che mi circonda e dall'atmosfera magica che accompagna il tutto, avvolto solamente da un vento freddo che mi riscalda e mi trasmette calore..
Mi trovo in una foresta, molto probabilmente a nord. E' inverno, forse Natale, e intorno a me tutta la vegetazione sembra sparita, sembra morta. Sembra morta ma dorme: la foresta sta riposando sotto una spessa coperta di neve che tutto ricopre e tutto rende bianco. E' tardo pomeriggio sta facendo buio, il sole si va sempre di più nascondendo dietro le aguzze cime dei monti che sono di fronte ai miei occhi: cime rocciose e spoglie, nude. Spoglie di neve, spoglie di vegetazione, spoglie di vita. Come delle mani ossute ma forti e muscolose che sanno di vita  e di vissuto, che spuntano con presunzione, ma con discrezione e saggezza dal bianco del candido manto nevoso. Rimango affascinato e non riesco a distogliere lo sguardo anche se so che si sta facendo buio. La temperatura sta scendendo ancora di più e sento che dovrei tornare al rifugio: un posto che non conosco, un posto che non so dove è, com'è e cos'è. So solo che sento di andare li, come per dire "devo tornare a casa, mi aspettano". Questo so, questo sento, questo mi basta. Nel tempo di un battito di ciglia gli occhi si riaprono, lo scenario è lo stesso, ma io e il mondo questa volta siamo divisi da una lastra di vetro e da una cornice di legno. Sposto lo sguardo, mi giro: intorno a me delle mura di legno: ecco, sono nel rifugio. Non c'è luce se non quella che entra dall'unica finestra dalla quale guardavo. A destra non molto lontano da me, un camino acceso, che non emana calore, suono, profumo. Continuo stupito a guardarmi intorno girando su me stesso. Ti vedo: hai un cappotto pesante, una sciarpa bianca e il tuo dolce sorriso... Guardandoti è come avessi dato vita a tutto: sento lo scoppiettare del camino, il profumo della legna che arde, il sibilo del vento che entra di nascosto tra le fessure delle tavole delle pareti. Mi guardi, e tendendomi una mano, con l'estrema dolcezza che ti contraddistingue mi sussurri sorridendo: "Andiamo!". Ti prendo la mano, mentre con l'altra ti sistemo la sciarpa. Il tempo di riaprire lo sguardo che siamo già fuori. Non ci siamo mossi. All'improvviso il freddo arriva anche alla mano che mi tenevi calda, alla mano con la quale tenevo la tua. Non ci sei più. La distrazione di un secondo per capire che fine avessi fatto, ed un colpo di vento decisamente più forte degli altri approfittò per farmi cadere, ed io, maldestro come sono, nemmeno il tempo di rendermi conto di cosa sta succedendo mi  lascio travolgere senza provare ad opporre resistenza, mi piego e casco all'indietro, alla volontà del vento. Sulla schiena. Mi ritrovai con la schiena a terra, il viso rivolto al cielo e con lo sguardo perso nell'infinito che ti cercava. Le nuvole veloci che andavano via, scappavano come se avessero il peso di sapere troppo, di avere visto troppo, come se avessero fretta di andare a riposare prima del sole: se fossero andate dopo il sole non avrebbero più potuto trovare la strada. Non capivo cosa stesse succedendo, ero incredulo e non capivo il confine tra sogno, fantasia e realtà: poco importa, so che saresti riapparsa nuovamente. Stavo bene, non sentivo più freddo: il pensiero che ti avrei riavuto tra le mie braccia mi tranquillizzava, mi proteggeva, mi riscaldava: non avevo il bisogno di scappare anche se sapevo che stava per accadere qualcosa di brutto. Inizia a piovere... Strano, a quella temperatura avrebbe dovuto nevicare.. Non è normale, ho sempre più paura. Mi alzo di scatto e inizio freneticamente a guardare intorno: niente più neve, niente montagne, niente foresta: ora mi trovo in una prateria verde, con erba corta. E' sparito tutto, ma una cosa è rimasta: il vento che mi accarezza, mi avvolge e che mi abbraccia, che mi butta giù ma che mi fa rialzare all'improvviso... In lontananza un qualcosa che assomigliava alla silhouette di un'essere vivente, di una persona. Sono sfinito, distrutto. Inizio a correre con le lacrime che controvento mi bagnano il viso. Più corro più stò bene, più corro e più quel contorno di persona difronte a me inizia a prendere forma. Ti vedo, sei tu. Ti corro incontro, non smetto di correre anche se sono a due passi difronte da te. Ti travolgo, stavolta sono io che ti butto giù, ti abbraccio, ti bacio. Sei immobile, ferma, fredda. Tutto si ferma. Riprende a soffiare il vento, inizi a ridere. Stò bene, stiamo bene. Hai paura, abbiamo paura, ma stiamo bene e sorridiamo. Il cielo è lo stesso, ma non siamo più sdraiati, siamo sulla punta di un burrone: dietro di me una gola profonda. Il terreno dietro di te inizia a sgretolarsi fino a quando non ci ritroviamo in piedi su di una striscia di roccia di qualche centimentro appena. Sento di saper volare, senza che ti dicessi niente, come se mi leggessi dentro, ti aggrappi a me e ci buttiamo. Nel vuoto balliamo, balliamo un valzer. Balliamo, ballando i nostri corpi e le nostre anime si uniscono e formano una cosa sola per sempre. Ancora una volta all'improvviso: una fitta. Stò cadendo, stò andando sempre più veloce e sempre più giù. Non ci sei più sono rimasto solo, le tenebre stanno vincendo sul tutto. Tutto perde forma, tutto si smaterializza. Io nel buio. Il buio. Ti ho lasciato andare mia amata, mi sono lasciato andare. Siamo svaniti nel nulla. Tu, io, noi, come ricordi, come rimpianti, come fantasmi...
La musica finisce, si spengono le luci, cala il buio su tutto, cala il sipario...

Questo invece secondo la bellissima, commovente e molto toccante interpretazione di Bruno Bozzetto, nel film "Allegro non troppo", del  lontano 1977...

Jean Sibelius - Valse Triste from - Allegro non troppo, Bruno Bozzetto

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Il video originale su youtube
J. Sibelius, Valse Triste Op.44 - Berliner Philarmoniker, Herbert Von Karajan